DAL CORPO OGGETTO ALLA MENTE INCARNATA
di Francesca BRENCIO (Universidad de Sevilla)
L’uomo pensa, non il cervello (Erwin Straus)
Quando nel 1991 Francisco Varela, Eleanor Rosch e Evan Thompson pubblicarono The Embodied Mind. Cognitive Science and Human Experience forse non prevedevano fino a che punto gli effetti che quel lavoro pionieristico avrebbero impattato il mondo della filosofia e quello delle neuroscienze. L’introduzione dell’approccio enattivo, cioè di quella teoria secondo la quale la cognizione sorge da un’interazione dinamica tra un organismo autonomo che agisce e il suo ambiente, avrebbe mutato il corso della comprensione del vivente e avrebbe contribuito ad arricchire la tradizione fenomenologica di temi e spunti che ancora oggi attraversano il dibattito internazionale. In quel volume, per la prima volta, si proponeva l’idea di una relazione circolare tra l’esperienza umana e le scienze della mente. Piuttosto che isolare la nostra esperienza vissuta in schemi interni, quali retaggio di una rappresentazione internalistica della mente, gli autori proponevano di considerarla come un elemento in continua trasformazione, che plasma e viene plasmata a sua volta dall’ambiente circostante.
La mente incarnata (embodied) significa esattamente questo: che la cognizione dipende dal tipo di esperienze che provengono dal possedere un corpo con alcune capacità sensomotorie e che, proprio in base ad esse, gli individui sono inseriti in un determinato contesto comprensivo di aspetti biologici, psicologici e culturali. In questo senso, la percezione risiede in un’azione percettivamente guidata e le strutture cognitive emergono precisamente dagli schemi sensomotori ricorrenti, i quali rendono possibile all’azione La Questione Filosofica – Francesca Brencio InCircolo n. 11 – Giugno 2021 10 di essere percettivamente guidata. Il mondo allora non è pre-costituito ma reso esecutivo (enacted) dalla capacità del soggetto di agire nel mondo in cui è situato (embedded). La mente incarnata è allora anche estesa (extended). Questo vuol dire che il significato e l’esperienza sono prodotte dalle continue relazioni reciproche fra cervello, corpo e mondo, tra cui si possono distinguere tre modalità di attività corporee permanenti e interrelate: l’autoregolazione, l’accoppiamento sensomotorio, e l’interazione intersoggettiva. Qualche anno dopo (2008), Giovanna Colombetti ed Evan Thompson, hanno descritto l’enattivismo attraverso cinque idee fondamentali che sono al cuore di questo approccio: La prima idea è che gli esseri viventi sono agenti autonomi che generano e mantengono la propria identità, e in tal modo producono il proprio dominio cognitivo, un sistema autonomo che produce informazione attraverso continue interazioni con il proprio ambiente. Da questo punto di vista, “interno” e “esterno” non sono sfere separate, connesse tramite un’interfaccia rappresentazionale, ma sono domini che si specificano a vicenda, prodotti dall’accoppiamento strutturale del sistema nervoso e del suo ambiente. La seconda idea è che il sistema nervoso non elabora informazione in senso computazionalista […]. Secondo l’approccio enattivo il sistema nervoso è invece un sistema autonomo. Esso genera e mantiene configurazioni coerenti di significato, e tali configurazioni variano a seconda del contesto. La terza idea è che la cognizione è una forma di azione incarnata. Le strutture e i processi cognitivi emergono da configurazioni ricorrenti di percezione e azione. L’accoppiamento di organismo e ambiente modula […] la formazione di configurazioni neurali endogene e dinamiche, e questa attività a sua volta influenza configurazioni del sistema sensomotorio. In questo modo l’intero organismo incarnato può essere visto come un sistema autonomo e autoorganizzato che “produce significato”. La quarta idea è che l’ambiente di un essere cognitivo non è un reame prespecificato e completamente esterno all’organismo; l’ambiente non è rappresentato internamente nel cervello, ma è un dominio di relazioni prodotte dall’attività autonoma dell’essere cognitivo, e dal modo in cui esso è accoppiato al proprio ambiente. Questa idea collega l’approccio enattivo alla fenomenologia, in quanto entrambe le tradizioni sostengono che la cognizione è in una relazione di costituzione con i suoi oggetti. Espressa in termini fenomenologici classici, l’idea è che l’oggetto, nel senso preciso di ciò che è dato al soggetto ed esperito da esso, è condizionato dall’attività mentale del soggetto. Espressa in termini più fenomenologici-esistenziali, l’idea è che il mondo di un essere cognitivo – ciò che tale essere è in grado di esperire, conoscere e manipolare – è condizionato dalla forma o struttura di tale essere. Questa “costituzione” della nostra soggettività o esserenel-mondo non è evidente nella vita quotidiana, ma richiede un’analisi sistematica (scientifica e fenomenologica) per essere rivelata. Questo punto ci porta alla quinta e ultima idea, secondo cui l’esperienza non è un epifenomeno laterale, ma è centrale alla nostra concezione della mente, e deve essere descritta e analizzata attraverso un accurato studio fenomenologico. Per questo motivo l’approccio enattivo ha sostenuto fin dall’inizio La Questione Filosofica – Francesca Brencio InCircolo n. 11 – Giugno 2021 11 che la scienza cognitiva e la fenomenologia sono complementari e mutualmente informative. 1 Il dialogo tra fenomenologia ed enattivismo è uno dei temi che questa Special Issue ha voluto affrontare a partire dal tema del corpo, non più concepito alla luce del problema mente-corpo quanto in termini di Leib e Körper. Le implicazioni della ridefinizione di questa relazione impattano non solo la fenomenologia contemporanea, ma si estendono anche alle neuroscienze coinvolgendo le teorie inerenti alla salute mentale, come esperienza fondamentale della relazione corpo vissuto e corpo vivente. Più che annodare i fili di un discorso filosofico che per secoli ha riservato al tema del corpo un’attenzione marginale, 2 la questione filosofica affrontata in questo volume si propone di esplorare quel cambio teorico di paradigma nella relazione fra corpo vivo e corpo vissuto, indagando come essa vada a costruire la soggettività, l’intersoggettività, l’empatia, la memoria corporea, la relazione con l’ambiente, e via dicendo. La vita può essere conosciuta solo dalla vita, diceva Hans Jonas. La biologia, la fisiologia, la neurofisiologia ci aiutano a comprendere il funzionamento del vivente, ma ancora oggi non sanno dirci, ad esempio, come i correlati neuronali della coscienza effettivamente funzionino.3 Sebbene un progresso sostanziale sia stato fatto dagli anni ’90 ad oggi su questo tema, tuttavia le evidenze scientifiche non sono ancora sufficienti per dirci qualcosa su come essi lavorino nei pazienti, ad esempio con danni cerebrali permanenti, nei bambini, o nelle specie non umane, 4 problematizzando la questione della coscienza nel cervello. Nel suo libro Out of Our Heads: Why You Are Not Your Brain, and Other Lessons from the Biology of Consciousness (2010), Alva Noe affermava che il travolgente entusiasmo per le neuroscienze spinge a ricercare nel cervello l’origine di tutto quello che noi esperiamo, persino la coscienza, “il Sacro Graal della filosofia”. A fronte degli impressionanti progressi in questo settore, forieri anche di possibilità di cura, l’autore suggeriva un 1 Giovanna COLOMBETTI, Evan THOMPSON, Il corpo e il vissuto affettivo: verso un approccio «enattivo» allo studio delle emozioni, in “Rivista di Estetica”, 37, 2008, pp. 77-96, https://doi.org/10.4000/estetica.1982, disponibile al link https://journals.openedition.org/estetica/1982 2 Per una storia del corpo si rimanda a Umberto GALIMBERTI, Il corpo, Feltrinelli, Milano 1987; Jacques LE GOFF, Il corpo nel Medioevo, Laterza, Roma 2007; Valeria BIZZARI, Sento dunque Sono. Fenomenologia e Leib nel dibattito contemporaneo, Mimesis, Milano 2018; Maria Teresa CATENA, Breve storia del corpo, Mimesis, Milano 2020. 3 M. BOLY, M. MASSIMINI, N.TSUCHIYA, B.R. POSTLE, C. KOCH, G.TONONI, Are the Neural Correlates of Consciousness in the Front or in the Back of the Cerebral Cortex? Clinical and Neuroimaging Evidence, in The Journal of Neuroscience, October 4, 37(40), 2017, pp. 9603–9613. 4 C. KOCH, M. MASSIMINI, M. BOLY, G. TONONI, Neural correlates of consciousness: progress and problems, in “Nature – Neuroscience”, 17, 2016, pp. 307-321. La Questione Filosofica – Francesca Brencio InCircolo n. 11 – Giugno 2021 12 importante interrogativo: forse non stiamo cercando nel posto sbagliato (il cervello) quello che in quel posto non ci sta per sua propria costituzione? Più recentemente, Thomas Fuchs nel suo Ecology of the brain (2017, del 2021 la traduzione italiana) solleva una domanda inaggirabile per le neuroscienze: cosa accadrebbe se il cervello non venisse più considerato come il centro della vita, ma solo come un organo di mediazione? Il corpo umano, considerato come un essere vivente i cui confini non coincidono con quelli della sua pelle, usa il cervello per mediare le interazioni sia con se stesso sia con l’ambiente circostante. In questo contesto, la mente non è un prodotto del cervello ma un’attività del vivente che si estende attraverso la soggettività incarnata. Una questione distinta eppure connessa al tema che questo volume affronta è quella dell’interdisciplinarietà. Questa Special Issue raccoglie contributi provenienti non solo da studiosi di filosofia (Dottorandi, Ricercatori, Professori universitari) ma anche di clinici, psicologi, psicoterapeuti ed operatori nel campo della salute mentale. Questa vocazione interdisciplinare era al cuore del progetto editoriale e della call for papers di questo numero. L’interdisciplinarietà, portata avanti con scrupolosa acribia, indefessa ricerca e rigore metodologico, rappresenta un valore aggiunto sia per coloro che provengono dalle scienze umane, sia per chi si colloca nel campo delle scienze naturali, e sia per chi quotidianamente, nella corsia di un ospedale, nel proprio studio privato, in una comunità terapeutica vede alcune linee teoriche incarnarsi in quella prassi che modella la relazione di cura. La questione del corpo, il tema della mente incarnata, il problema della soggettività estesa e dell’empatia sono solo alcuni degli argomenti che sorreggono il dialogo della filosofia con la medicina. Se è vero che ogni diagnosi è anche una domanda di senso, allora la ricerca delle risposte ad un certo di tipo di domande, cioè quelle sollevate da patologie che non sono riducibili ad un modello biologico e molecolare, non può confinarsi tra le mura degli ambiti del sapere che rifuggono la messa in questione del proprio statuto epistemologico. A suo modo, anche l’esperienza pandemica da COVID-19 ci ha fatto scoprire poco adeguatamente equipaggiati non solo a fronteggiare una crisi sanitaria di dimensioni planetarie, ma soprattutto non frazionabili in parti che fra loro non sono in relazione: il virus non si ferma all’apparato respiratorio, ma coinvolge la nostra salute mentale, la forma della socialità che incarniamo, i riti che condividiamo – in altre parole, il nostro modo di stare nel mondo. 5 Proprio questa inderogabile necessità di rimarcare il contributo fondamentale dell’ermeneutica e della fenomenologia nel campo delle neuroscienze e della 5 Su questo tema si veda Francesca BRENCIO, Valeria BIZZARI, Ferruccio ANDOLFI, Topografia della Speranza. Volti, Corpi ed Emozioni ai Tempi del COVID-19”, numero monografico de “I Quaderni della Ginestra”, 23, anno 2020/1, ISSN 2240 – 337X. La Questione Filosofica – Francesca Brencio InCircolo n. 11 – Giugno 2021 13 psichiatria, così come della medicina tutta, rimane la più difficile scommessa da vincere. Non basta essere esperti di un certo sapere per esserne anche esecutori attenti, soprattutto nella relazione di cura. Jaspers diceva che non è sufficiente essere un bravo medico, occorre anche essere un medico pensante. Dopo l’esperienza dei seminari di Zollikon, Heidegger si augurava che la filosofia uscisse dalle ristrette stanze dei filosofi per andare incontro alla gente e fornire agli specialisti della salute nuovi strumenti: la malattia è un restringimento delle possibilità dell’esistere e, in quanto tale, essa è connessa all’essenza del vivente in modo inaggirabile. Gadamer ci ricorda che la salute non è un prodotto, un qualcosa che si ottiene, si produce attraverso una serie di esami medici o dalla prescrizione di farmaci; la salute è un’impresa morale, risultante non solo dall’incontro terapeutico ma anche dal modo con cui il medico esercita il suo fare, dalla relazione che il paziente ha con la sua nuova condizione, dalla possibilità della comunità di comprendere un modo di stare al mondo nuovo rispetto alla condizione iniziale ed entrare in relazione con esso. L’avvicinamento clinico non dovrebbe mai esaurirsi nell’incontro con la malattia: piuttosto, dovrebbe essere un incontro con la persona, mai intesa non come un veicolo passivo di una certa patologia, piuttosto come elemento cardine del processo di guarigione. Smarcarsi da una visione incentrata sulla diagnosi per orientarsi verso un approccio basato sulla relazione, è allora un traguardo raggiungibile proprio attraverso il contributo delle scienze umane.
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