La fenomenologia della Depressione Maggiore e la rappresentatività e la natura dei criteri del DSM
The Phenomenology of Major Depression and the Representativeness and Nature of DSM Criteria
Kenneth Kendler, Am J Psychiatry, august 2016
Come dovrebbero essere relati i criteri del DSM al disturbo che dovrebbero descrivere? Per risolvere empiricamente il problema l’autore ha esaminato quanto i criteri sintomatici del DSM5 per la depressione maggiore si rispecchiano nelle descrizioni della depressione clinica nella tradizione post Kraepeliniana della psichiatria occidentale, come si ritrovano nei manuali pubblicati fra il 1900 e il 1960. 18 sintomi e segni sono stati descritti, 10 dei quali sono riportati dai criteri DSM per la depressione maggiore o la melanconia. Per due sintomi (contenuti riguardanti l’umore e la cognizione) i criteri DSM sono considerabilmente più ristretti di quelli dei manuali. Cinque sintomi o segni (cambiamenti nella volizione/motivazione, rallentamento nell’eloquio, ansietà, altri sintomi fisici e derealizzazione/depersonalizzazione) non sono presenti nei criteri DSM. In confronto con i criteri DSM gli autori (studiati nei manuali) davano molta più enfasi ai cambiamenti cognitivi, fisici e psicomotori e minore ai sintomi neurovegetativi. Questi risultati suggeriscono che caratteristiche importanti della depressione maggiore non sono rappresentate nei criteri dei DSM. Questo non è un problema fino a che i criteri DSM sono intesi come INDEX (indici) piuttosto che come costitutivi dei disturbi psichiatrici. Dal DSM – III la nostra specialità si è mossa verso una reificazione dei DSM che implicitamente assume che i disturbi erano i criteri. In questo modo noi abbiamo preso un indice per la cosa in se’. Questo errore concettuale ha contribuito all’impoverimento della psicopatologia e ha peggiorato la ricerca, il lavoro clinico e l’insegnamento in modo indesiderabile.
Osservazioni personali: quella che viene chiamata “depressione” ed anche “depressione maggiore” è un coacervo di quadri clinici diversi. Sarebbe infatti opportuno togliere definitivamente questo termine dal vocabolario tecnico (come, a suo tempo, isteria o nevrosi). Ormai è un termine talmente ampio da non indicare più nulla o comprendere (quasi) tutto. Da una parte stanno alcune forme, decisamente più rare, gravi, con caratteristiche tali che le si definirebbe molto meglio melanconie e che oggi vengono definite “maggiori” (ma con una accezione un po’ diversa e più ampia rispetto a un recente passato). Sono forme decisamente attinenti al corpo, incapace di muoversi agilmente, pesante, aprassico, ingombrante, ostile, con secondarie e limitate idee di indegnità, incapacità e, più raramente, di colpa. E’ questo il caso paradigmatico del “sentimento della mancanza di sentimenti”, molto frequente e terribile. Se vi è un evento precedente appare molto modesto e, più spesso, non si rinviene nulla.
Dall’altra parte c’è un vasto arcipelago di quadri molto vari, denotati da idee negative, di fallimento, con un umore decisamente triste e una notevole quota ansiosa. Molto spesso si individuano facilmente fattori scatenanti: lutti, perdite, sconfitte, fallimenti. Sono forme che appaiono “minori” e che rispondono poco agli antidepressivi. Sono pazienti che parlano, che esprimono idee, convincimenti, spesso rabbia e rivendicazioni. Sono pieni di sentimenti, anche se dolorosi. Queste due forme, descritte e distinte da secoli (come depressioni endogene e reattive, depressioni psicotiche e nevrotiche, ecc,) è necessario che siano distinte.
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